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Si chiude un ciclo: perché l’addio di Resta non ha lo stesso peso degli altri

dimissioni tommaso resta

C’è stato forse un malinteso, probabilmente un cortocircuito culturale, all’origine di quest’ennesima – sicuramente la più significativa di tutte – crisi in seno all’Amministrazione Bruno. Sta di fatto, però, che stavolta a dimettersi dalla Giunta non è stato uno qualsiasi – non se la prendano numerosi, talora anche di spessore, assessori sin qui alternatisi nell’esecutivo – ma l’autentico padre spirituale (per quanto schivo, silenzioso e decisamente poco social) dell’Amministrazione Bruno. Secondo qualcuno, addirittura il vero sindaco-ombra.

Tommaso Resta, insomma, non era uno qualunque. Tommaso Resta era un po’ quel motore che, spesso a bassi regimi, aveva comunque finora consentito il funzionamento di una macchina ancora in fase di rodaggio.

L’addio di Resta – per indole, non uomo d’avanspettacolo o sovraesposizione ma dal sicuro carisma – ha decretato la fine di un ciclo, come si usa dire nel mondo del calcio.

Il ciclo dell’accortezza, di quel minimo d’avvedutezza col quale  – insieme con il compagno di sempre Marcello Cafueri e poche altre figure strategiche – era riuscito a mantenere più o meno a galla e, a tratti, persino saldi, baracca e burattini.

tommaso resta
Tommaso Resta

Con Resta – all’epoca neppure candidato, ma molto presente – ormai fuori dai giochi, se ne va via un pezzo significativo di quell’ansimata rivoluzione gentile che, nel 2014, portò al potere l’homo novus Maurizio Bruno, sospinto dal vento (che non si poteva fermare con le mani, cit.) dell’agognato cambiamento, della speranza dopo tanti e tanti anni dalla volta precedente (1995 con Mario Filomeno a capo di un’anatra zoppa).

Se poi ci sia stato, il cambiamento, e se sia piaciuto, saranno il tempo e le urne – comunque tra ormai non molto – a dirlo.

Intanto, non c’è più l’ultimo dei Mohicani, colui il quale, nel 2009, salvò quel neonato Pd – di sinistra, ma non troppo – da una figuraccia (quella di non presentare un proprio candidato sindaco) che, all’epoca, sarebbe potuta costare molto cara.

Resta sapeva che con ogni probabilità avrebbe perso, ma si sacrificò e ci mise la faccia: prese i voti che poteva, rifiutò un Laboratorio (quello di Massimo Ferrarese eletto presidente della Provincia, con Bruno tra i più suffragati e poi assessore al Bilancio e ai Lavori pubblici) che non si confaceva alla sua storia e al suo credo politici.

Nella sua Francavilla non sostenne al ballottagio il rampante Luigi Galiano (coniglio estratto dal cilindro del senatore Euprepio Curto) e ne decretò, di fatto, la sconfitta contro il “sindaco dei sindaci” di centrodestra Vincenzo della Corte.

Allora cosa poteva saperne Resta che, un giorno, Galiano alias “Candidato della Chicco” (sarcastico soprannome coniato proprio da Resta) se lo sarebbe ritrovato accanto in una Giunta di centrosinistra?

E, invece, i due – da acerrimi avversari che erano –  in quest’ultimo anno e mezzo pare siano persino entrati in sintonia, tanto che ieri anche il vice sindaco Galiano ha implorato Resta di restare, per la serie (nomen omen): “Tommaso, Resta!”. Ma non c’è stato granché da fare. L’ultima goccia ha infierito su di un vaso colmo da tempo e oggi solo traboccato.

Ora, a Bruno – nel frattempo dimessosi a propria volta – toccherà provare nuovamente a ricomporre i cocci di quel suo giocattolo che necessita ancora di essere mandato in assistenza e senza che sia più coperto da garanzia.

Il sindaco avrà ancora al suo fianco il segretarissimo Cafueri, Fabio Zecchino (Pd), Mimmo Bianco, lo stesso Galiano (Ap) e tutti gli altri che tenteranno l’ennesimo disperato tentativo di salvataggio. Ma stavolta Resta proprio no. Resta non è restato.

Eliseo Zanzarelli

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