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L’addio a Gianni Di Clemente, Gino Capone: «Un produttore di razza e per me un grande amico»

gianni di clemente
Gianni Di Clemente in una vecchia foto

di Gino Capone

Gianni Di Clemente in una foto più recente
Gianni Di Clemente in una foto più recente

Io lo conoscevo bene. Rielaboro il titolo di un film anni ’60 perché parlo di un produttore, e amico, Gianni Di Clemente, che da ieri non è più tra noi. Cominciò a fare il produttore con una Volante, guidata da me. Quando ci presentarono, lui era un giovane direttore di produzione, io un giovane sceneggiatore con un film di successo alle spalle. Mi chiese di scrivergli un film d’azione sulle Volanti, suo pallino del momento. Un proposta indecente per me che frequentavo la commedia all’italiana. Ma poi mi venne in mente che una notte, a metà anni ’60, girovagando con un amico per le vie di Roma vedemmo sfrecciare una Ferrari 250 GT/E 2+2 nera . Al volante c’era un mitico poliziotto della Mobile, Armando Spatafora, siciliano,  ribattezzato da Il Messaggero “Poliziotto Sprint” per la sua spericolata abilità nel competere con i malviventi dotati di Porsche e Maserati. Una lotta impari per una Volante normale ma non per la Ferrari 250 GTE che Spatafora aveva chiesto e ottenuto in esclusiva dai suoi capi di allora. Era la storia ideale sia per me che per Gianni e “Poliziotto Sprint” diventò un bel film, interpretato da Maurizio Merli e distribuito dalla Titanus: per me il primo film d’azione, per Gianni il film che lo laureò produttore, forse uno dei più giovani e arrembanti. 

Successivamente diventò anche distributore muovendosi, tra i grandi, alla grande, con la stessa spericolata abilità e lo sprint di quel suo primo personaggio, che anni dopo gli valsero il David Di Donatello alla carriera.

Gino Capone
Gino Capone

Legammo subito molto e per lui scrissi sette/otto film e due serie televisive: Aquile e Scoop. Produsse Celentano, il primo film su Falcone con Placido, il mio Mamma Ebe con la regia di Carlo Lizzani, il super premiato Speriamo che sia Femmina di Monicelli e tanto altro. Poi il cinema italiano, colpito anni prima da un virus, cominciò ad aggravarsi. Il virus si chiamava tv e infettò il cinema con l’avventata complicità di alcuni degli stessi produttori cinematografici.

Quando ebbe inizio il contagio, io e Gianni eravamo insieme nel suo ufficio. Goffredo Lombardo, gran capo della Titanus, chiama Gianni al telefono e, gongolando, gli comunica che ha appena incassato un miliardo vendendo i diritti di mille dei suoi vecchi film, accatastati in magazzino, ad uno sprovveduto imprenditore edile del Nord soprannominato El Mattonel. Era Berlusconi. Fu l’inizio della fine.

Di Clemente
Di Clemente

La voce si sparse in un baleno e anche altri distributori si affrettarono a liberarsi dei fondi di magazzino cedendoli alla tv. Pensavano di aver fatto il colpaccio, invece si erano dati la classica zappa sui piedi. I  film invasero la televisione e le sale cinematografiche cominciarono a svuotarsi. Il potere  economico, e di conseguenza quello decisionale, passò dai privati alle reti televisive e il cinema, quello vero, cominciò a morire.

E cominciò a morire anche Gianni Di Clemente, che era un produttore vero. Aveva sempre deciso in prima persona il film che doveva produrre e non ha mai accettato di buon grado di fare anticamera nei corridoi RAI o Mediaset in attesa che il funzionario di turno gli dicesse quale film produrre e quale no. Aveva camminato sempre con la schiena dritta e aveva sempre rischiato di suo. Non gli andava giù doverla piegare, per giunta davanti a uno che non rischiava in proprio. Ciao, Gianni. Sei stato un produttore di razza e ci mancherai molto. A me anche come amico.

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