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Imprenditore artigiano francavillese inventa un caricabatterie mobile e alla portata di tutti

Tommaso Andriulo

C’è una categoria che più delle altre è l’emblema dell’Italia, con tutte le sue bellezze e contraddizioni: quella degli artigiani. Ossia coloro che coniugano ancora la bellezza delle cose fatte a mano con la necessità di essere anche imprenditori completi. In uno scenario continuamente in evoluzione, un lungimirante francavillese ha intravisto una nuova opportunità: l’open furniture. Quando si parla di open source si pensa generalmente a quel tipo di software libero da licenze, utilizzabile gratuitamente sui nostri computer. Può questo concetto evolversi dall’immateriale al materiale? Può questo permettere di creare valore e soluzioni di business?

Tommaso Andriulo ci ha provato, e sembrerebbe proprio di sì.

Siamo di fronte ad un nuovo modo di concepire la manifattura, che in Italia non trova ancora una letteratura consolidata, ma che ha invece contorni più definiti all’estero, in particolare nel Nord Europa. È una visione alternativa di intendere le arti e i mestieri, rivisti in chiave evolutiva. Parole come ‘maker’ e ‘artigiano digitale’ sono la nuova versione dei falegnami e dei fabbri di una volta.

«L’open furniture è una sorta di condivisione della proprietà intellettuale» – spiega Andriulo, designer di Power on the table, un curioso “dressing box”, una strana custodia per potenti batterie che permette di ricaricare tablet e smartphone in mobilità, ovunque, senza prese di corrente e che offre anche la possibilità di farsi pubblicità sfruttando gli spazi delle sue superfici esterne.

Si tratta di un funzionale oggetto di arredo, oltre che di un elegante gadget tecnologico, proposto come oggetto ‘open design’, ovvero in grado di poter essere autoprodotto da chiunque (a patto di avere determinate attrezzature e una buona dose di capacità manuali).

Per avviare una attività artigiana in ottica open source non sono necessarie competenze specifiche o alta formazione manageriale, è necessario però avere dimestichezza con il mondo social e sapere usare le nuove tecnologie.

Spiega Andriulo: «Innanzitutto, “open” non vuol dire solo rendere disponibile online, gratuitamente e per tutti, i progetti, gli schemi e i dettagli di produzione di un oggetto che sarebbero, in genere, gelosamente protetti, anche perché gli investimenti fatti, anche in termini di prototipazione e ingegnerizzazione su un prodotto di questo tipo vengono quasi sempre tutelati attraverso l’uso di brevetti industriali sulla proprietà intellettuale. Questo è un passaggio oneroso, sufficiente ad annichilire i piani di molte brillanti startup piene di idee o di potenziali giovani imprenditori. L’open furniture (e le common library) devono essere intesi, invece, come un nuovo modo, più accessibile (e non necessariamente meno remunerativo) con il quale proporre se stessi e le proprie idee artigianali ed industriali al mondo intero come fossero progetti culturali più che imprenditoriali».

La condivisione libera e gratuita delle istruzioni, del design e dei processi di produzione, applicate agli oggetti, permettono a tutti i makers e i designer emergenti di proporsi e farsi conoscere, offrendo le loro intuizioni e le le loro soluzioni su scala globale. Per avviare una produzione anche a costo zero si può partire anche da semplici concept il cui sviluppo può essere finanziato su piattaforme consolidate come kickstarter o indiegogo. Se l’idea è buona e viene proposta bene è possibile realizzare qualsiasi prodotto e venderlo online, sfidando colossi come Amazon che di fatto detengono il monopolio nell’e-commerce nel mare magno della rete’.

Questo, almeno, è quanto suggerisce Tommaso Andriulo.
È evidente che questa filosofia aperta e estremamente social è trasversale e non riguarda solo il mondo dell’artigianato ma impatta anche sui principi culturali a cui siamo abituati. È interessante scoprire di più è verificare come questo sia possibile sul sito www.poweronthetable.com.

Da qui si può acquistare il prodotto originale o scaricare le istruzioni dettagliate per autoprodurlo, a patto di avere a disposizione una serie di moderne attrezzature come, ad esempio, una stampante 3d e un pantografo a controllo numerico.

Ma come è nato power on the table? Andriulo svela anche questo:

«Semplicemente è bastato osservare il mercato e le richieste dei clienti nei ristoranti o nelle varie sale di attesa. La prima cosa che facciamo in quei momenti è usare il nostro telefono. Sono dispositivi sempre più avari di energia e spesso siamo costretti invano alla ricerca di prese di corrente alle quali collegarci. Pensiamo ad esempio di essere al tavolo di un ristorante o nella sala d’aspetto di uno studio. Ci sono già proposte di questo tipo in giro, ma nessuna che riuscisse a coniugare praticità, un design gradevole e la possibilità di inserire degli spazi su cui applicare facilmente della pubblicità. È bastato unire i puntini per creare qualcosa di bello che avesse tutte queste caratteristiche e che potesse essere proposto come soluzione per la comunicazione e la promozione turistica. Questo è solo il primo di una serie di prodotti che sono già in cantiere da offrire sotto licenza open furniture».

Il prodotto e l’idea verranno presentate al prossimo salone “open factory”, il più importante opening di cultura industriale e manifatturiera, in programma a Padova il prossimo 25 novembre, con l’obbiettivo di essere di ispirazione a tanti giovani futuri designer e imprenditori.

Questo nuovo modo di intendere l’artigianato, applicabile in ogni settore merceologico, è di fatto un paradigma imprenditoriale tutto nuovo, nel quale si è cimentato con successo l’imprenditore francavillese.

Siamo di fronte alla ennesima dimostrazione che in questa economia, spesso confusionaria, per affrontare con successo il mondo del lavoro, può bastare una semplice (ma buona) idea.

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