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Covid-19 – Ritardi, sottovalutazioni e difetti di comunicazione: i casi di contagio sono molti di più, ma si è lenti in tutto…


di Eliseo Zanzarelli

Un mio amico che un po’ se ne intende me l’ha sempre detto: «Compa’, ok la crisi e le misure straordinarie a tutti i livelli, ma se non sai comunicare, in genere non sai neanche fare».

Ecco, non farò mai il nome del mio amico (Alessandro), ma siccome con lui abbiamo affrontato questo tema in tempi non sospetti, oggi come oggi, non posso che dargli ragione.

Non riporterò le sue opinioni – opinioni, peraltro, qualificate di chi s’intende di sicurezza – sui governanti nazionali e su quelli locali. Opinioni legittime, sacrosante e persino condivisibili, ma se le riportassi, rischierei una querela, per quanto indiretta.

Come qui si denuncia da giorni, le cose non procedono affatto bene. Che il numero dei contagi e dei morti – purtroppo – dovesse accrescersi lo si sapeva da un po’. E sì, è abbastanza alto. Più alto rispetto a ciò di cui si sa.

Il virus Sars-Cov 2 (Nuovo Coronavirus) che genera la patologia Covid-19 è ormai nell’aria, quasi lo vedi e respiri, soprattutto, sebbene sia invisibile ma tutt’altro che irrespirabile, in quelle strade e piazze deserte che pure un tempo pullulavano di gente fino a notte fonda.

Ed è così, poche storie.

Qualche giorno addietro si prevedeva che in Puglia il picco sarebbe stato di circa duemila contagi entro fine mese-metà aprile, contagi destinati a scendere dopo le misure drastiche da “zona rossa” messe in campo. Ebbene no, non sarà così. Quota duemila sarà superata in scioltezza prima del tempo stimato, per tutta una serie di ragioni che è persino inutile elencare. Ciò avverrà, ma probabilmente non lo si saprà per tempo.

Prendi ieri, martedì 17 marzo. Stando a una prima comunicazione ufficiale – pre 20,51 – i contagi in provincia di Brindisi erano 0. Sì, zero, nulla. Come a dire: a posto ragazzi, rilassatevi un po’, tutto bene.

Magicamente, si fa per dire, poco prima delle 23, ecco che i casi brindisini diventano 11 (senza specificare, ovviamente, comuni né identità dei contagiati). Ma, si badi bene: se a Foggia, dove ancora confluiscono i tamponi brindisini, si effettuano circa 700 test al giorno, se quotidianamente a Bari se ne effettuano circa mille e a Lecce circa 400, per quale arcano motivo il bollettino finale riporta l’esito di soli 580 tamponi? La risposta è semplice: si procede a rilento e non c’è affatto da rilassarsi.

Ecco, questa è la situazione. Drammatica. Disorganizzata su più livelli, compreso – purtroppo – quello dell’anamnesi, della diagnosi e della prognosi. Oltre che, ovviamente e successivamente, della comunicazione.

Vi riporto un esempio piuttosto simbolico: dopo che eravamo stati insieme, un altro mio amico, col quale avevamo trascorso una serata insieme fuori, poi a casa sua, e che aveva accusato alcuni sintomi da Covid-19, chiama il 118 e finisce al “Perrino” di Brindisi. Dalla tenda nel piazzale dell’ospedale, lo trasferiscono, posizionato in quella specie di incubatrice antiatomica, all’interno di una stanzetta del reparto di Otorinolaringoiatria insieme con altri “sospetti”.

Gli fanno il tampone e, infine, lo lasciano insieme agli altri – sì, tutti insieme appassionatamente – in quella stanzetta. Trascorrono due giorni nei quali, neppure per sbaglio, nessuno si affaccia per chiedere agli “appestati” se avessero bisogno di qualcosa. Cose normali, come bere, mangiare, magari una parola di conforto. Dopo questi due giorni, ecco i responsi: fortunatamente, il mio amico risulta negativo. Quattro altri che erano in stanza con lui, però, risultano positivi. E quindi? Quindi il mio amico è finito in quarantena obbligatoria: giunto sano in ospedale, è stato costretto a isolarsi in casa, dopo aver “cacciato” sua moglie, peraltro in dolce attesa. Ieri ha effettuato il secondo tampone, attende e ne attendiamo tutti con trepidazione l’esito. Se sarà positivo, probabilmente il contagio è avvenuto in quella maledetta stanzetta… Se sarà negativo, saremo tutti più felici e rilassati.

Resta comunque la paradossalità della situazione e restano, purtroppo, anche altri paradossi. Resta che al non saper fare si associa, spesso e volentieri, il non saper comunicare o quella strana capacità di comunicare male, un mix tra pressappochismo e disorganizzazione spiccia di cui, specie in questo periodo, faremmo volentieri a meno.

E forse, anzi ormai sicuramente, ha ragione il mio amico Alessandro: la comunicazione è sempre importante, ma in tempi di crisi – come questo – diventa fondamentale.

Lo cito:

Vuoi rassicurare? Devi saperlo fare e devi avere le basi per farlo. Vuoi intimorire? Devi essere bravo anche là. Vuoi tenere la gente in casa? Devi essere convincente ed empatico, altrimenti non funziona. Ciascuno al proprio posto: politici, medici, infermieri, personale sanitario e comunicatori, possibilmente tutti bravi, perché ogni aspetto – specie oggi – conta e può salvare delle vite. 

Dove voglio arrivare, cosa voglio dire? Al di là del fatto che ho dei grandi, lungimiranti e responsabilissimi amici, intendo esplicare concetti molto semplici: oggi come oggi non possono esistere tentennamenti e improvvisazioni.

Ciò che sta succedendo non era mai successo né si può affrontarlo come, purtroppo, lo si sta affrontando: i tamponi pugliesi e brindisini positivi sono molti di più, la situazione è serissima e a questo punto ciascuno di noi potrebbe essere contagiato dall’oggi al domani. Niente caccia agli untori, quindi, ma possibilmente un grande senso della realtà. E coscienziosità. A tutti i livelli, specie a quelli più “alti”.

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