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Una lettrice: “Ho perso mia mamma in ospedale, era troppo vecchia per vivere…”


Riportiamo qui di seguito la lettera da parte di una lettrice che purtroppo nei giorni scorsi ha perso sua madre in ospedale a Brindisi. Questo il suo racconto di quesi tremendi giorni:

“La settimana scorsa è morta la mia mamma perché troppo vecchia per vivere.

Almeno così ci hanno detto in ospedale dopo le quotidiane e disperate chiamate per sapere se ci fossero peggioramenti o no. Perché in alcuni casi non si chiede dei miglioramenti, si è talmente aggrappati alle speranze che anche saperla stazionaria bastava. Quasi non si osasse chiedere troppo.

Le risposte alle chiamate erano sempre seccate, ti facevano sentire inopportuna e a volte avevi anche timore a comporre più e più volte quel numero nell’attesa che qualcuno si degnasse di rispondere, per liquidarci con due parole.

Ignari del fatto che ormai le nostre giornate erano incentrate su quell’ora in cui si poteva chiamare per avere informazioni. Ignari che ogni volta che squillava il telefono avevamo un sussulto nel caso a chiamare fossero loro con notizie nefaste.

Viene dimessa due giorni dopo che, incapaci di farla mangiare, le avevano fatto venire una polmonite ab ingestis, in poche parole le avevano fatto andare del cibo nelle vie respiratorie. Senza alcuna copertura antibiotica.

Appena tornata a casa, dove vi rimane pochissimo, scopriamo che era anche piena di piaghe, necrotiche. Dodici anni di attenzioni spazzati via da soli 21 giorni di degenza. Malgrado avessimo chiamato uno specialista a casa, siamo costretti a riportarla in ospedale.

Shock settico che stava colpendo tutti gli organi con crollo della pressione sanguigna: non può uscire finché non reagisce alla loro terapia antibiotica con la possibilità di staccarla dal farmaco che le mantiene su la pressione.

Le chiamate sono variegate, abbiamo la fortuna di parlare con medici gentili alternandoci con “signora, non è necessario chiamare ogni giorno, se cambia qualcosa vi avvisiamo” e la mia preferita: “Signora, ha 84 anni”.

Mica lo sapevo che avessimo una data di scadenza. Ti puoi ammalare da quell’età a quell’età, altrimenti c***i tuoi, eh. Ce potevi pensà prima. Viviamo nella speranza che lo stazionario diventi un miglioramento finché arriva il fatidico giorno.

Parlo prima con un infermiere che urtato mi dice che è stazionaria come sempre e mi invita a parlare con il medico per ulteriori domande. Il medico, invece, due minuti dopo mi comunica che c’era stato un grave peggioramento quella mattina e che avevano deciso di staccare i farmaci per non farla soffrire.

Nessuno ci ha chiamati, nessuno ci ha dato la possibilità di decidere. Ci hanno messi di fronte al fatto compiuto.

E se non avessimo chiamato come ogni singolo giorno, non avremmo nemmeno avuto la possibilità di starle accanto fino all’ultimo. Quanta poca umanità necessita per un simile gesto?

Di lì la corsa per portarla il prima possibile a casa, in modo che si spegnesse vicino a chi si è sempre preso cura di lei, vicino a chi non la considerava un barattolo di legumi ormai scaduto, vicino a chi avrebbe lottato fino all’ultimo per salvarla.

Lei era troppo vecchia, io magari troppo giovane, ma la COSCIENZA, quella è eterna. E per chiunque lavori nell’ambito sanitario, perdere un paziente per menefreghismo è un fallimento davvero grande. Professionale e umano. Complimenti.

P.S. certo che morire di infezione nel 2021 e per colpa di una possibile errata assistenza infermieristica è davvero vergognoso. A me sembra si sia venuti meno ai tre principi del nursing: sapere, saper fare e saper essere”.

Lettera firmata

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