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I Sud Sound System a Torre Regina, Nando Popu: «Non c’è musica senza impegno sociale»

A giugno è uscito il loro nuovo album: "Sta tornu"
A giugno è uscito il loro nuovo album: “Sta tornu”

Questa sera, i Sud Sound System si esibiranno a Torre Regina Giovanna per lanciare, tra le altre cose, il loro ultimo album, uscito nel giugno scorso dopo un periodo di stand-by durato quattro anni, e intitolato “Sta tornu”. Per l’occasione, Nando Popu al secondo Fernando Blasi, ha concesso un’intervista per parlare della serata, ma anche del passato, del presente e del futuro dell’amatissimo gruppo orgogliosamente “made in Salento”, che da sempre coniuga musica e divertimento a denunce e battaglie con il Sociale al centro della scena. Tutela dell’ambiente e lotta alla mafia su tutto.

Nando, questa sera vi esibirete a Torre Regina Giovanna, un palco a voi già noto: cosa vi aspettate dal pubblico?

Ci aspettiamo, come sempre, il nostro pubblico agguerrito più che mai, che si diverta e che lotti in un territorio in cui l’ingiustizia la fa, purtroppo, sempre da padrona; un pubblico che pensi alla musica e rivendichi i propri diritti: non c’è divertimento senza soddisfazione sociale. Come si fa a essere allegri e spensierati, se non si sta bene nella vita di tutti i giorni? La musica per noi è ed è sempre stata questo: un’occasione di denuncia e di riscatto dalle cose che non vanno nella quotidianità, che sono tante, specie da queste parti.

All’inizio voi Sud con quella musicalità e quello stile destavate stupore, al massimo curiosità, ma la gente faticava a seguirvi. Col tempo siete diventati delle icone di un genere di cui ancora oggi siete la massima espressione. Cos’è cambiato rispetto ai vostri esordi, che risalgono agli anni ’80?

È cambiato che oggi non siamo più accolti come dei marziani, ma anzi con estremi trasporto e partecipazione. Dagli inizi a oggi abbiamo dovuto studiare e faticare tanto: se all’epoca cantavamo principalmente per divertirci, oggi ne abbiamo fatto un vero e proprio lavoro, che in realtà ci ha salvato. Noi, grazie alla musica, ci siamo affrancati dall’omologazione che questa società ci chiedeva e anche dalla collusione con la mafia: la Scu, grazie all’aiuto o all’omertà della gente, spacciava eroina e portava diritti a morire i nostri fratelli. Suonando e cantando, facendo sacrifici, noi abbiamo invece preso un’altra strada, quella del riscatto sociale, dando una speranza anche a tutti quei ragazzi che dopo, in qualche caso riuscendoci, hanno voluto emularci.

Siete sempre stati attivi non solo nella musica, ma anche nel Sociale. Ultimamente vi siete schierati al fianco del movimento “No al carbone”, ma quali sono oggi le battaglie e le tematiche che più vi stanno a cuore e più influenzano la vostra produzione?

Sì, io abito a Trepuzzi e lo schifo delle centrali Enel ed Edipower che sorgono tra Brindisi e Lecce lo respiro ogni mattina: siamo nel 2014, il carbone è il passato, non è più possibile produrre con queste modalità. I poteri forti stanno uccidendo il territorio, ma soprattutto la gente. È sufficiente andarsi a guardare come stanno crescendo i casi di tumore, come in ogni famiglia ce ne siano ormai di diversi. Lottare contro questi “untori di morte” non è un diritto è un dovere, come notare l’assenza il menefreghismo della politica, che se ne infischia delle centrali e della discarica dei veleni Micorosa, il cui tasso di pericolosità è massimo. Quei veleni non vanno nascosti, vanno presi e portati via lontano da qui, lontano dalla gente, lontano dalle falde che inquinano ogni giorno. Le cose che ci interessano di più sono ambiente e salute: come potremmo far finta di niente, vivendo qui?

Torniamo alla musica. Nel giugno scorso, è uscito il vostro nuovo album “Sta tornu”, che qualcuno ha definito come della maturità. È corretto?

Sì, d’altra parte ci abbiamo messo quattro anni a comporlo, anche a causa delle riflessioni che abbiamo fatto prima di scrivere e suonare: si tratta di un album molto vario e variopinto, dove alterniamo e fondiamo diversi generi, dal soul funk allo ska, al rock steady. Ci sono canzoni di sentimento e canzoni di denuncia, come Nazione strana, in cui si parla di come il Paese Italia abbia contribuito a fare del Sud la pattumiera nazionale e di come però, anche e finalmente, i giovani stiano reagendo a questo stato di cose.

Quale il lavoro, album o esibizione, che vi ha dato più soddisfazioni, che esprime più la vostra essenza?

Lontano, con in particolare Le radici ca tieni, uscito nel 2003, ci ha dato grandissime soddisfazioni, anche perché a quei tempi avevamo appena chiuso i nostri rapporti con una precedente casa discografica e ci toccava, quindi, ripartire e dimostrare di nuovo tutto. D’altra parte, non sono mancati i problemi con il mondo dei produttori, ormai più attenti ad andare a scovare presunti talenti in tivù e sempre più lontani dalle cantine e dai locali di periferia, dove si fa la musica vera.

Voi avete contribuito, con la vostra musica e il vostro linguaggio, a esportare fuori dai confini locali il concetto di Salento, come “sule, mare e ientu”. Cos’è oggi il Salento e cosa invece, a vostro avviso, potrebbe o dovrebbe essere?

Il Salento oggi rischia di diventare solo un luogo comune e di essere considerato, per l’appunto, prevalentemente “sule, mare e ientu”. Certo, il settore turistico in crescita impedisce che camerieri, pizzaioli e artigiani in genere emigrino come in passato, ma crediamo servano maggiori trovate da parte dei pubblicitari per promuovere territori che vanno ben oltre le spiagge e la moda turistica della vacanza in Salento. Se qualcuno mi chiede un parere su dove andare una volta in Salento, l’ultimo posto che gli consiglio è il mare: prima vengono le città d’arte come Otranto, Trani, la stessa Valle d’Itria. C’è tutto un mondo da scoprire, ma la maggior parte della gente viene per le spiagge e finisce per inquinare le campagne. Serve un contributo della scuola per formare esperti alberghieri, guardie forestali e quant’altro davvero capaci di preservare e valorizzare questo angolo di paradiso.

Nando Popu ha scritto anche un libro: “Salento, fuoco e fumo” (2012, edizioni Laterza), che racconta di un viaggio in bici nella grande bellezza e nelle grandi contraddizioni del Salento. Com’è andata quell’esperienza?

È andata ogni oltre più rosea aspettativa, ho imparato come e perché si scrive un libro. Un’esperienza che mi è piaciuta e che a breve ripeterò con un secondo libro, che stavolta racconterà di mafia, di come la mafia si radica in un territorio, di come il “ricottaro” diventa boss grazie alla connivenza del popolo. Racconto un aneddoto: quand’ero piccolo, trascorrevo le vacanze estive a Casalbate e mi sono trovato ad aiutare i contrabbandieri a scaricare le bionde nel porto. A sera, tornavo a casa dove consegnavo le mie belle stecche di sigarette regalatemi dai contrabbandieri senza che nessuno mi dicesse nulla. Non c’era niente di male, mi sembrava. Li vedevo, poliziotti e finanzieri assistere e non muovere un dito contro le operazioni di carico e scarico. Solo da grande ho capito che tutto ciò non andava per niente bene…

Tutti gli artisti, arrivati a un certo punto della carriera, e la vostra dura da quasi 30 anni, pensano al momento in cui si dovrà smettere: voi avete mai pensato a questa eventualità?

Sinceramente? No. Finché ci sarà la voglia e la forza, continueremo a stare sul palco e gli esempi di artisti longevi, in grado di emozionare addirittura quando hanno già passato gli 80 ci rincuorano in questo senso. Non ci abbiamo pensato e speriamo di non doverci porre il problema per molto, molto tempo ancora…

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