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Caporalato: braccianti al lavoro fino a 19 ore al giorno, anche senza mangiare e andare in bagno

Raffaele Casto, sostituto procuratore anziano reggente la Procura di Brindisi, illustra i risultati dell'inchiesta nel corso della conferenza stampa (foto: www.brindisireport.it)
Raffaele Casto, sostituto procuratore anziano reggente la Procura di Brindisi, illustra i risultati dell’inchiesta nel corso della conferenza stampa (foto: www.brindisireport.it)
Da sinistra: Annamaria Iaia, Giuseppe Bello e Anna Errico
Da sinistra: Annamaria Iaia, Giuseppe Bello e Anna Errico

Le forze dell’ordine, la Procura e il Tribunale di Brindisi hanno dichiarato guerra al caporalato. Dopo i quattro arresti dei giorni scorsi da parte dei carabinieri della compagnia di Francavilla Fontana, oggi i loro colleghi della compagnia di San Vito dei Normanni hanno eseguito tre ordinanze di custodia cautelare (due ai domiciliari, una in carcere) nei confronti di altrettante persone, che saranno chiamate a rispondere di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro pluriaggravati. Si tratta della 49enne Annamaria Iaia (condotta in carcere a Lecce), del 48enne Giuseppe Bello (ai domiciliari) e della 72enne Anna Errico (madre di Iaia, ai domiciliari), tutti di San Vito dei Normanni. I primi due sono anche accusati di truffa aggravata ai danni dell’Inps (denuncia di giornate lavorative fittizie ai fini dell’erogazione di sussidi di disoccupazione non dovuti) insieme con l’amministratrice unica e legale rappresentante di una Srl esercente il commercio all’ingrosso di frutta e ortaggi freschi o conservati a Polignano a Mare (dal fatturato superiore ai 12 milioni di euro). Nei confronti di quest’ultima non è stata emessa misura cautela in quanto il giudice ha ritenuto sufficiente, per evitare che continuasse a delinquere, il sequestro preventivo di quasi 3.600 euro quali profitto del reato di truffa consumato (un secondo delitto di questo tipo è stato bloccato in itinere dai militari dell’Arma).

Iaia era un’operaia agricola e Bello formalmente un autista alle dipendenze dell’impresa agro-alimentare di cui sopra, ma Bello – a quanto emerso – esercitava anche attività di vigilanza sulle prestazioni lavorative di una sua “squadra” nel magazzino o nelle campagne dell’impresa agro-alimentare stessa e concordava, inoltre, con Iaia le assunzioni. I due, tra il 3 gennaio 2015 e il 3 novembre 2016 hanno reclutato 22 braccianti e li hanno trasportati quotidianamente da San Vito dei Normanni e Carovigno a bordo di un Fiat Ducato intestato a una Srl e di un Fiat Scudo intestato a Iaia. Sempre quest’ultima e Bello, tra il 4 novembre 2016 e l’1 marzo 2017 hanno reclutato altri 28 braccianti, dai quali si sono fatti consegnare copia dei documenti d’identità e delle tessere sanitarie per la compilazione dei contratti e delle buste paga. I braccianti, pur di lavorare e a causa del loro stato di bisogno, erano costretti a pagare 10 euro al giorno a Iaia o a sua madre (Errico).

Le indagini, coordinate dalla Procura, furono avviate a seguito della denuncia sporta da tre operai (un uomo e due donne) favorita anche dalla notizie di stampa (il sostituto procuratore anziano Raffaele Casto, reggente la Procura di Brindisi dopo il pensionamento di Marco Dinapoli, ha ringraziato i media) sul fenomeno illecito del caporalato. I carabinieri presero a monitorare il viavai di gente da e per l’abitazione di Iaia e ad acquisire informazioni da alcuni lavoratori che uscivano dall’immobile con degli assegni tra le mani per conto dell’impresa agro-alimentare di Polignano a Mare. Seguirono quindi: intercettazioni telefoniche e ambientali, localizzazioni mediante Gps, servizi di osservazione, pedinamento e controllo, posti di blocco, un’ispezione amministrativa a carico dell’impresa agro-alimentare, acquisizione di tabulati telefonici e prospetti Inps.

Solo sul finire delle investigazioni e per un ulteriore riscontro, sono stati ascoltati 28 braccianti (italiani e stranieri, in particolare marocchini e rumeni), i quali hanno riferito:

   – di essere stati assunti con contratto di lavoro per sei ore e mezza giornaliere ma di lavorare per almeno 10 ore e 30 minuti al giorno;

   – di percepire una minima parte dello straordinario eseguito, comunque calcolato dopo la decima ora e trenta minuti di lavoro e non dopo le 6 ore e trenta minuti;

   – di partire alle ore 03:30 nei giorni feriali (alle ore 03:00 nei giorni festivi), da San Vito dei Normanni e Carovigno (03:45 giorni feriali e 03:15 giorni festivi), a bordo dei suddetti furgoni, per recarsi nelle campagne del barese o nel magazzino della società di Polignano a Mare, e di rientrare la sera non prima delle ore 19:00 e non oltre le ore 23:00;

   – di essere costretti, stante lo stato di bisogno – oggettivamente constatato dalla polizia giudiziaria – ad accettare gli orari di lavoro imposti dagli intermediari e dall’impresa, dalle ore 05:30 fino alle 16:00 nei giorni feriali, dalle ore 05:00 alle 13:00 nei giorni festivi in luogo dell’orario contrattuale (6 ore e 30 minuti);

   – di essere costretti a lavorare dalle 15 alle 19 ore giornaliere, compreso il viaggio di andata e ritorno, ossia dalle 12:30 alle 16:30, escluso il viaggio;

   – di corrispondere a Iaia € 10 per ogni giornata lavorativa espletata, che la stessa incassava subito dopo aver consegnato a ciascun lavoratore l’assegno dello stipendio;

   – di lavorare senza soste (spuntino, pranzo e talvolta finanche i bisogni fisiologici), in alcune occasioni rinunciando al riposo settimanale poiché le frasi loro in continuazione rivolte erano «Se non vi sbrigate domani rimanete a casa; trovatevi un altro lavoro se ci riuscite»;

   – di essere stati informati da Iaia che, in caso di controlli, avrebbero dovuto dichiarare, pena il licenziamento immediato qualora non avessero ottemperato a tali disposizioni che la stessa Iaia era una operaia come le altre; che lavoravano per conto dell’impresa di Polignano a Mare per 6 ore e quaranta minuti al giorno; che l’autista non era mai lo stesso e dipendeva direttamente dal datore di lavoro.

Ogni mese, Iaia corrispondeva ai braccianti l’assegno dello stipendio, la relativa busta paga e un foglietto manoscritto sul quale era annotata la somma da restituire “in nero” per pagare i 10 euro giornalieri. I braccianti, insomma, dovevano incassare per intero in banca l’importo indicato nell’assegno e poi andare a casa di Iaia e consegnare a lei o a sua madre (Errico, indicata come “Memena”) la somma da restituire.

Iaia e Bello, dopo aver appreso delle convocazioni in caserma e in Procura dei primi operai, hanno anche tentato d’inquinare le prove e inizialmente ci sono anche in parte riusciti (alcuni dei lavoratori hanno negato di corrispondere ai caporali i 10 euro al giorno).

Ma carabinieri e Procura non si sono scoraggiati, anzi. Il loro lavoro certosino sui registri delle presenze ha consentito di dimostrare, per esempio, che in un caso sarebbero stati dovuti 131,97 euro (96,29 a titolo di salario, 26 per indennità di viaggio, 9,68 per indennità di percorso pari a 50 minuti) e, invece, il lavoratore percepì soltanto 59,53 euro.

Nel contesto generale dell’intermediazione illecita e dello sfruttamento sono poi emerse a corollario anche le truffe ai danni dell’Inps. In una conversazione con due sue braccianti “predilette” (utili per spartirsi i sussidi erogati, senza ragione, dall’ente previdenziale) Iaia ha dichiarato: «Tu non sai neanche quante giornate hai fatto! Non sai un cazzo! Quando avrai la disoccupazione mi devi baciare! Mi devi dare un bacio in fronte! Hai fatto 159 giorni… Quest’anno glielo abbiamo messo tutto nel culo… l’anno scorso hai fatto le marchette». E ancora: «Perché se tu superi le 102 giornate, ti facciamo la domanda di disoccupazione… sono duemila euro, non è che si trovano a terra».

 Il giudice ha rilevato, pertanto, una spiccata pericolosità sociale di Iaia, che è “ben preparata sul funzionamento della disoccupazione agricola, toglie giornate alle operaie che hanno già raggiunto l’obiettivo e le registra ad altre e tiene i contatti con la consulente del lavoro impartendo disposizioni sui benefici previdenziali da far conseguire alle lavoratrici, così contribuendo nella falsificazione dei prospetti delle presenze giornaliere e mensili, delle buste paga, del Libro Unico del Lavoro, della documentazione contabile e fiscale della (società di Polignano a Mare) e delle relative comunicazioni all’I.N.P.S. mediante le quali risultavano assunte lavoratrici che in realtà non avevano mai espletato le ore registrate e sottese alla concessione del beneficio”.

Prima di eseguire i provvedimenti del giudice, i carabinieri hanno anche sottoposto a sequestro preventivo uno dei due veicoli utilizzati per commettere i reati più gravi.

Eliseo Zanzarelli

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