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Educare alle emozioni, l’unica battaglia pacifica alla violenza di genere

di Nicoletta Calizia*

Il mondo di oggi è cambiato, da qualsiasi prospettiva lo si guardi. Si assiste ad una pericolosa frammentazione socio-culturale: la partecipazione politica va e viene, l’economia globale ha i suoi pro e i suoi contro, la cultura si arricchisce di punti di vista diversi, appiattendo però le peculiarità locali, le nostre società diventano multietniche a fatica e senza una politica giusta dell’accoglienza, il lavoro predomina gran parte della nostra vita tanto da renderci schiavi, il presente e il futuro sono incerti, i legami sociali sono deboli, i punti di riferimento sono assenti, tutto è temporaneo e provvisorio.

Ma in tutto questo disordine, che posto si dà alla vita interiore e alle emozioni? Bella domanda! Quando si parla di emozioni si tende a collegarle alle relazioni con gli altri. Ma è erroneo. Perché bisogna prima conoscere e saper leggere il proprio animo, saper controllare e gestire le nostre emozioni e, solo dopo esserci riusciti, si può pensare a quelle degli altri e ad entrare in contatto con anime diverse. Credo che non ci sia materiale psichico più difficile delle emozioni. Le emozioni fanno paura, sia nel provarle che nell’esprimerle.

Oggi tutto ci spaventa, oggi tutto ci mette ansia, oggi tutto ci spiazza e non ci fa stare sereni. La vita è diventata pesante, i ritmi sono quadruplicati, il tempo scorre veloce. Ma le emozioni sono sempre lì, desiderose di emergere, se la psiche lo permette.

Ecco, è su questo che vorrei porre l’attenzione e spingere ad una riflessione: sulla difficoltà di questa generazione nel sapersi destreggiare nell’universo delle emozioni, per colpa di esempi sbagliati, in famiglia e nella nostra società.

Stando in contatto quotidianamente con gli adolescenti e con i più giovani, vedo nei loro occhi il timore nell’aprirsi e nel dover trattare le emozioni anche solo come argomento di studio, figuriamoci nel dover raccontare i loro stati d’animo.

I ragazzi sono introversi, hanno quella ritrosia tipica della cultura maschilista che li obbliga ad apparire a tutti i costi forti e senza alcun tipo di problema e li devia dal parlare di se stessi. Le ragazze sono più limpide, si aprono più facilmente, quasi lo richiedono, come fosse straripante la loro esigenza di essere ascoltate. Ovviamente, le generalizzazioni servono a poco, e non mi sono mai piaciute, ma noto come negli ultimi tempi sia i ragazzi che le ragazze abbiano sviluppato una sensibilità straordinaria, ma anche una grande fragilità, fatta di insicurezze che si ripercuotono nei loro rapporti affettivi, sia che si tratti dei loro primi amori che delle relazioni con genitori, fratelli e amici.

I giovani di oggi sentono il bisogno di annullare le emozioni, di chiuderle in un cassetto, di viverle come un’oppressione o di assopirle attraverso le pericolose dipendenze, perché non sono mai stati educati ai sentimenti. Molti di loro le reprimono, le vivono male, oppure le scagliano con violenza perché non sanno come tenerle a bada. Non sono semplici, per esempio come le app dello smartphone, queste, anzi, sono di facile utilizzo perché intuitive, soprattutto per loro che ci sono nati nel mondo del digitale. Nel mondo delle emozioni, invece, appare tutto complicato, incomprensibile, indecifrabile, da evitare. Questa generazione ha davvero tante marce in più, ma per poter essere migliore di quelle precedenti deve avere dei modelli imparziali, sempre aperti e disponibili a parlare di come ci si sente e ad esternare ciò che si prova ogni giorno, dei maestri di vita trasparenti e capaci di empatia, di intelligenza emotiva, intrapersonale ed interpersonale.

Se gli esempi che hanno sono dati da quei tanti uomini che trattengono l’affetto, che sono aggressivi verso le donne e che trattano con violenza le loro madri, non credo che ci potrà mai essere un progresso di tipo emotivo ed esistenziale, neanche nelle future generazioni. Come scrive Paolo Coelho ne “Il cammino dell’arco”, metafora della vita: “Allorché si è compresa l’essenza dell’arco, della freccia e del bersaglio, risulta indispensabile acquisire la serenità e l’eleganza necessarie alla pratica del tiro. La serenità proviene dal cuore.

Per quanto talvolta sia angustiato da grevi pensieri di insicurezza, il cuore è perfettamente cosciente che – grazie a una posizione corretta – potrà esprimere tutte le sue potenzialità”. Nel momento in cui tutti capiremo e saremo coscienti di quanto sia importante e catartico palesare le paure personali ed esprimere le proprie emozioni a noi stessi e agli altri, solo allora la ferita della violenza fisica e l’ombra della violenza psicologica sulle donne potranno diventare un brutto ricordo da scacciare e un cattivo modello del passato da non emulare ancora.

* Articolo pubblicato per Cronaca e Dossier
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