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Tubicino rimasto nell’addome di un paziente poi deceduto: tutti assolti i medici dell’ospedale “Camberlingo”

Tutti assolti i cinque medici dell’ospedale di Francavilla Fontana finiti a processo per omicidio colposo dopo aver dimenticato – secondo l’accusa – un tubicino nell’addome di un paziente 67enne poi deceduto in ospedale a Bologna: insufficienza di prove della colpa per l’ex sindaco e già primario anestesista Vincenzo della Corte, Rocco Montinaro (primario di Chirurgia generale), Alessandro Perrone (chirurgo), Cosmiana Galizia (anestesista) e Domenico La Macchia (chirurgo), difesi di fiducia dagli avvocati Antonio Andrisano, Vittoriano Bruno e Massimo Bellini.
L’avvocato Antonio Andrisano

I fatti da cui sono originati il procedimento e poi il processo risalgono al mese di aprile 2011 quanto il 67enne – ex dipendente dell’Asl (autista del 118) – fu ricoverato al “Dario Camberlingo”. Ne scaturirono la denuncia dei familiari e le indagini coordinate dalla Procura. Secondo il pubblico ministero, il personale medico-chirurgico effettuò non solo una diagnosi sbagliata, ma anche un intervento inutile e non eseguito a regola d’arte: nel corpo del paziente, infatti, era rimasto un piccolo tubo (probabile residuo di un drenaggio) lungo 7-10 centimetri, ritenuti concausa di una peritonite plastica fibroadesiva che interessò intestino tenue e buona parte del colon retto.

Il tubicino fu scoperto sei mesi dopo quell’operazione durante un nuovo intervento di colectomia presso l’ospedale “Sant’Orsola” di Bologna. Per il pm, quel tubicino impedì ai medici bolognesi di effettuare una corretta e tempestiva diagnosi circa la patologia da cui era affetto il 67enne, che dovette affrontare altri due interventi chirurgici capaci di debilitarlo e di condurlo alla morte il 3 novembre dello stesso anno.
La tesi accusatoria – rafforzata inizialmente anche dalle parti civili, ritiratesi a processo in corso per intervenuta transazione sul risarcimento danni – non ha però consentito di attribuire al quintetto di medici francavillesi la responsabilità colposa del decesso: non è stato sufficientemente provato, in sostanza, il nesso causale tra la presenza di quel tubicino e il successivo decesso del paziente. Il processo di primo grado, partito da Bologna ma poi approdato a Brindisi per questioni di competenza territoriale, si è concluso con la pronuncia della formula assolutoria prevista dal secondo comma dell’articolo 530 del codice di procedura penale. La giudice del Tribunale brindisino Adriana Almiento si è riservata 90 giorni per il deposito della motivazione.

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