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Castello di Oria, lo studioso: “Non l’immagino con ricevimenti, magari tra limousine, palloncini e applausi agli sposi”


Così il dottor Rino D’Andria, Responsabile tecnico-scientifico Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici Università del Salento:

Mi ha suscitato indignazione e stupore il servizio andato in onda, mercoledì 12 maggio, su un’emittente televisiva pubblica regionale della Puglia, sul nostro disgraziato Castello.

Non una parola è stata proferita sui gravi fatti giudiziari che ne hanno causato la chiusura e soprattutto sulle alterazioni che ha, forse irrimediabilmente, subito. Sarebbe forse ora che prendessimo tutti coscienza del fatto che il Castello, come l’hanno conosciuto molti di noi, non esiste più e avessimo finalmente il coraggio di affermarlo. Perché oggi è ormai solo una sala ricevimenti per matrimoni cafoni.

Nel medesimo servizio ho sentito affermare senza vergogna che si tratta di uno dei castelli meglio conservati anche grazie agli ultimi restauri (in seguito ai quali sono state patteggiate condanne!).

E infatti abbiamo potuto tutti “ammirare” l’assurda pavimentazione del cortile interno (arricchito di leziosi lampioncini) o i terribili nuovi soffitti lignei a cassettoni realizzati nelle sale da cui pendono pacchiani lampadari destinati a illuminare cascate di prosciutto e torte multicolori.

Il marchese Bernardino Bonifacio sarebbe certamente orgoglioso di vedere come sono state devastate le stanze in cui visse (esistono ancora?).

Ci si renda conto che allo stato attuale non è più possibile eludere i pressanti interrogativi su cosa il Castello rappresenterà in futuro per la comunità di Oria e del territorio e su quanto fatalmente sopravviverà della sua eredità storica e simbolica.

Su quanto sarà ancora percepibile della lunga stratificazione di luoghi ed accadimenti che l’hanno interessato nei secoli facendogli acquisire un forte valore identitario.

Per questo, personalmente, mi auguro che il richiesto cambio di destinazione d’uso venga negato dalla Soprintendenza perché è l’unica residua speranza di poter tornare a discutere del Castello come contenitore culturale ed impedire la sconsiderata convenzione – totalmente sbilanciata in favore dei proprietari – che il Comune vorrebbe stipulare.

Nei miei sogni (sogni appunto) c’è una cittadinanza indignata che, invece di aspettare la riapertura di un contenitore – vuoto e sfregiato – per qualche ora alla settimana, chiede a gran forza, con il sostegno senza ambiguità delle istituzioni, che sia restituita dignità al SUO Castello raccogliendo 15.000 firme da mandare alla Soprintendenza che sta esaminando la richiesta; che sia avviata una seria e aperta discussione su come porre rimedio, anche parziale, ai danni arrecati.

Diversamente, gli spazi del Castello serviranno solo ad accogliere karaoke, trenini e applausi agli sposi che entrano festosi con limousine bianca e palloncini.

E’ questo che vogliamo pur di farci qualche selfie sui camminamenti o di attirare qualche turista di bocca buona? Se qualcuno, colpevolmente complice, ha in questi mesi guardato seriamente a questa possibilità, dovrebbe avere il coraggio di ricredersi e apprezzare il valore della vergogna, del rossore sul volto. Tutto sommato, come si legge nel Don Chisciotte, “meglio la vergogna sul viso che una macchia sul cuore”.

Rino D’Andria, cittadino oritano

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