La Regione ha ragione, ma lo Stato non ha del tutto torto. Il piano di rientro dal deficit sanitario è una cosa seria, così come lo sono i livelli essenziali di assistenza e qualunque normativa stratificatasi nel tempo. Quando si parla di salute e di quali-quantità delle prestazioni sanitarie non ci sono, in genere, né vincitori né vinti. Sul ritorno alla gestione pubblica del Centro pubblico di riabilitazione di Ceglie Messapica, però, n’è nata anche una battaglia legale tra Regione e Governo – diversi colori politici – ma non tra Stato ed ente locale e precedente gestore. D’altra parte, se non per via incidentale, soltanto le Regioni (ed enti locali, pur con limitazioni) e lo Stato possono adire direttamente la Corte Costituzionale per questioni anche di merito.
Qual era il punto del contenzioso costituzionale insorto tra la Regione Puglia e il Governo? Detto in soldoni, secondo il Governo il ritorno all’Asl di Brindisi dell’ex “San Raffaele” di Ceglie Messapica avrebbe contrastato coi patti tra Stato e Regione per il rientro dal disavanzo della spesa sanitaria.
Con la gestione pubblica diretta, infatti, lo Stato e non più un privato (Fondazione San Raffaele) deve gestire una struttura in più e accollarsi i corsi del personale già assunto. Per quello da assumere, la Consulta è stata chiara: non è possibile per soli titoli, ma soltanto mediante concorso pubblico (illegittima la parte della legge regionale di ri-acquisizione del Centro nella parte in cui è scritto, in merito alle assunzioni di nuovo personale, «o con procedure di selezione per soli titoli, dove compatibili con il profilo professionale»). Il ricorso dello Stato, promosso per il tramite della propria avvocatura, è stato considerato legittimo e fondato. I giudici costituzionali si sono dovuti occupare, i questo caso, di armonizzazione dei conti pubblici.
In teoria possibili, nel caso dell’ex “San Raffaele”, ma degni di essere considerati. Le considerazioni dei magistrati costituzionali hanno portato comunque a una serie di riflessioni strettamente giuridiche poste dagli avvocati Emanuele Feola (avvocato dello Stato, parte ricorrente) e Isabella Fornelli (per la Regione Puglia, parte resistente). Lo Stato ha lamentato potenziali sforamenti economico-finanziari rispetto ai patti tra lo stesso Stato e la Regione risalenti a 15 anni fa.
Nella sentenza è scritto: «Nella specie, invece, oggetto della normativa impugnata sarebbero tutte prestazioni certamente rientranti nei livelli essenziali di assistenza (LEA), “attualmente erogate dalla Fondazione privata e pagate dalla ASL”. Inoltre, essendo la ASL di Brindisi già proprietaria della struttura e di parte degli impianti tecnologici, indicati nella documentazione depositata in giudizio, non vi sarebbe alcun incremento – tantomeno “sensibile” – della spesa sanitaria».
L’Asl stipulò un contratto-ponte nel 2008 per la “provvisoria gestione” dell’ex “San Raffaele”, ma la gestione provvisoria è rimasta provvisoria e giuridicamente ambigua per molti anni: la Fondazione – convenzionata col sistema sanitario regionale – ha intanto pagato un affitto per l’edificio e per gli impianti dell’Asl, incaricata della manutenzione straordinaria.
«Il risultato dell’intervento normativo in esame, in definitiva, è consistito nella cessazione di tale affidamento provvisorio di non agevole inquadramento, con conseguente rientro della struttura e degli impianti tecnologici nella piena disponibilità della (già) proprietaria ASL di Brindisi, oggi tenuta ad erogare direttamente, attraverso proprio personale, le prestazioni in precedenza fornite all’utenza dal soggetto privato, sempre utilizzando le risorse finanziarie già impegnate sul medesimo capitolo di bilancio».
Sul caso ha parlato di vittoria, con parole nette, l’assessore regionale Fabiano Amati facendo: «La salute non è merce, e i luoghi della cura appartengono ai cittadini, non alle procedure opache e alle confidenze con gli operatori economici privati. Abbiamo lottato in solitudine, spesso nel silenzio. Ricordo i giorni in cui era difficile persino farsi vedere accanto a me».
Non è mancata la replica della famiglia Angelucci cui Amati ha fatto riferimento in un suo post: «Siamo del tutto estranei al ricorso, promosso dal Governo nell’esercizio delle proprie prerogative costituzionali: le assunzioni previste dalla legge regionale non sono ammissibili, e dovranno invece essere effettuate attraverso regolari procedure concorsuali. Parlare di “vittoria limpida” è dunque quantomeno fuorviante».
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