Condanna confermata, risarcimenti più vicini. Si fidarono dei consigli e cercarono di far fruttare al massimo – come prospettato – i loro propri risparmi. Quei titoli nei quali furono indotti a investire, però, si rivelarono tossici e infatti sfociarono, a distanza di neppure troppo tempo, nel crac di Veneto Banca. L’istituto bancario, nel Brindisino, tra le altre disponeva di filiali a Francavilla Fontana e Latiano ma anche a Sava nel Tarantino. Numerosi furono i correntisti sentitisi “traditi” e, anche per il tramite degli avvocati Antonio Andrisano e Domenico Attanasi, si costituirono parti civili nel processo a carico dei vertici bancari. Diverse centinaia di migliaia di euro dissoltesi nel nulla e oggi, quantomeno, la prospettiva che una parte di quei soldi possa tornare indietro.
Lo scorso 30 aprile, la V sezione della Suprema corte di cassazione ha confermato la penale responsabilità dell’ex amministratore delegato di Veneto Banca, ora divenuta definitiva, a due anni e sei mesi. La Corte, preso atto che il reato di ostacolo alla vigilanza nei confronti di Banca d’Italia risultava essere ormai prescritto, ha ridotto la condanna di soli sei mesi, rispetto a quanto stabilito nel processo di secondo grado dalla corte d’appello di Venezia, nonostante la procura generale presso la corte di cassazione avesse richiesto, proprio in ragione della maturata prescrizione, la rideterminazione della condanna a un anno e sei mesi. Confermate le statuizioni civili e così la condanna al risarcimento dei danni in favore delle stesse parti civili.


Hanno espresso soddisfazione gli avvocati Andrisano Attanasi, che – come detto – hanno difeso numerosi risparmiatori brindisini e tarantini (più di 20) costituitisi parti civili, nei tre gradi di giudizio: tribunale di Treviso, corte d’appello di Venezia, Cassazione.
La sentenza di condanna in primo grado dell’ex amministratore delegato era stata confermata in appello con riduzione della pena da quattro a tre anni di reclusione (per ostacolo alla vigilanza a Banchitalia, mentre era stato dichiarato prescritto il reato di falso in prospetto). In secondo grado era anche stata revocata la confisca di 221 milioni di euro – disposta in primo grado – oltre che l’interdizione temporanea dai pubblici uffici. Della confisca obbligatoria “di una somma di denaro o beni di valore equivalente a quelli utilizzati per commettere il reato” si era occupata anche la Corte costituzionale, che aveva dichiarato incostituzionale quella parte dell’articolo 2.641 del codice civile.
«Allo Stato permane, comunque, l’obbligo di confiscare integralmente i profitti derivanti dal reato – aveva commentato l’avvocato Andrisano – in forma diretta o per equivalente, così come resta inalterata la facoltà per il giudice, nel rispetto del principio di proporzionalità, di disporre la confisca diretta delle ‘cose che servirono a commettere il reato’ ex art. 240 codice penale richiamato dall’art. 2641 codice civile».
Al di là dei tecnicismi, la pronuncia dei giorni scorsi significa che quelle decine di risparmiatori possono oggi nutrire una concreta speranza di avere indietro almeno una parte dei loro soldi che, a un certo punto, temevano di aver perso per sempre. Ci vorrà tempo, certo, ma il titolo per reclamarli ora esiste e diverrà definitivo. Da quantificare in sede civile anche, caso per caso, l’ammontare dei ristori.