Un Sepolcro artistico alla chiesa della Morte, ecco significato e segreti di quel dipinto

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L’uscita serale per i Sepolcri è un appuntamento fisso a cui nessun francavillese può mai rinunciare: mentre leggete questo articolo, gli “addetti ai lavori” sono già in fibrillazione da un pezzo, e in tutte le case si sta programmando l’itinerario da seguire stasera, chiesa per chiesa. In numero rigorosamente dispari, come tradizione comanda. Alcuni sono invece già per le strade, estasiati di fronte alla bellezza di questi “altari repositori” della cui arte la nostra città può ben vantarsi. Noi abbiamo deciso di essere idealmente accanto a voi in questa serata importante intervistando uno dei più grandi e giovani artisti francavillesi impegnati nell’allestimento dei sepolcri, l’architetto Mino di Summa, il quale ci svela i misteri nascosti dietro alla sua splendida opera che potrete visitare all’interno della Chiesa di Santa Chiara, detta “della Morte”.

Grazie per questo bel momento di condivisione insieme ai lettori de “Lo Strillone”. Da quanto tempo ti occupi dei sepolcri e come sei arrivato a farlo?

L’anno scorso, il 2017, ho avuto l’onore e l’onere di realizzare il primo dipinto per il “Sepolcro” della Chiesa di Santa Chiara, e quest’anno nuovamente. L’incarico mi fu affidato dall’allora Priore della Reale Arciconfraternita dell’Orazione e Morte, Vito Leone. Prima di me, l’esecutore era il prof. Saracino, il quale fu molto gentile a consigliarmi su alcuni aspetti tecnici, data la sua lunga esperienza a riguardo. Ricordo con affetto il giorno in cui il professore venne a vedere il mio sepolcro, al momento dell’allestimento, e mi rivolse queste parole: «E come mi disse Raffaele Argentieri, mò pripariti ca a te tocca!».
Fin da bambino ho frequentato quella Chiesa, accompagnato da zio Franco, per poi diventarne confratello, e mi è sempre piaciuto, il pomeriggio del venerdì santo, quando l’attenzione della gente era indirizzata tutta sulle statue dei Misteri, entrare nella cappella del sepolcro. Potevo osservarlo meglio e scrutarne i segreti, e mi chiedevo se un giorno sarei riuscito anche io a realizzarne uno.

Come nasce la creazione di quest’anno, e quale messaggio vuole trasmettere?

Tutto ha inizio con l’assegnazione del tema, che quest’anno è stato “la cena di Hemmaus”, poi si inizia con lo studio del Vangelo, e in seguito si passa alla realizzazione del bozzetto.
Ho voluto rappresentare il momento in cui i discepoli riconoscono Gesù dal suo modo di spezzare il pane.
A destra c’è il più anziano, che si rivolge verso Cristo senza timore, mentre con la mano sinistra tiene buono il cane di casa. A sinistra invece è posizionato il più giovane, impulsivo e irrequieto, che si spaventa dell’accaduto tanto da stare per cadere dalla sedia: lancia così un urlo che richiama sua moglie e sua figlia, le quali si affacciano dalla porta della cucina. Arretrandosi rapidamente, il giovane fa cadere il proprio bicchiere e rovescia il vino. Il tema l’ho attualizzato, vestendo i personaggi con abiti contemporanei, intendendo che il Vangelo non è ciò che è stato, ma ciò che è e ciò che sarà.

Ci sono simboli particolari che vuoi descrivere e spiegare per far comprendere meglio a chi lo visiterà?

L’ambiente in cui avviene la cena è contestuale alla Chiesa di Santa Chiara ed alla Confraternita, il pavimento è quello della sacrestia; a sinistra un quadro ritrae la Statua dell’Addolorata; a destra su una cassapanca sono poggiati: la mozzetta nera (la mia), la trenula (la più antica conservata dalla Confraternita) ed una corona di spine. In alto, da una finestra, si scorge la luna piena del giorno di Pasqua ed una colomba segno di pace; di lato un ramoscello di Ulivo che ricorda la precedente Domenica delle Palme. Il cane tenuto buono, a destra, rappresenta la fedeltà degli apostoli a Cristo. Sul tavolo, assieme al resto, è presente una candela, simbolo dello Spirito Santo, allineata in verticale col vino versato, atto a rappresentare il legame tra lo Spirito Santo ed il sangue versato da Cristo sulla Croce, causato dall’impulsività del giovane, come la stessa di chi ha condannato Gesù.

Un’ultima cosa: c’è un aneddoto particolare che vorresti raccontare?

Come per tutti i miei lavori, utilizzo dei modelli: in questo, ci sono delle persone che fanno in modo che io sia molto legato ed affezionato a questo lavoro. Sono: mio padre Vincenzo, mio fratello Luigi, mia cognata Graziana e mia nipote Aurora. Gesù è Antonio, un attore di Oria. E’ stato bello condividere con loro questo lavoro, e li ringrazio per la pazienza.

Ilaria Altavilla

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