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L’associazione antiracket-antimafia: «La Scu esiste e se ne deve parlare di più per sconfiggerla»

associazione antiracket antimafia

Si riceve e pubblica:

Paride Margheriti
Paride Margheriti

Dalle numerose pagine dedicate alla Sacra corona unita presenti nella relazione della Direzione nazionale antimafia presentata in Senato lo scorso 2 marzo, si evince come la Scu abbia mutato pelle senza rinunciare alla sua storia, confermando il suo core-buisness nel traffico delle droghe, ma svolgendo anche un ruolo significativo nel territorio alla ricerca di nuovi spazi nel sistema economico e gestendo inoltre il racket, tanto che nel distretto di Lecce, che comprende Brindisi e Taranto, è stato segnalato un forte incremento dell’usura mafiosa.

Si evince inoltre che la Scu, da piramidale, diviene una mafia reticolare e che l’organizzazione evita di far risvegliare la collettività sociale puntando alla sottovalutazione del fenomeno criminale, mirando al consenso sociale, cioè in sintesi mira ad essere “invisibile” agli occhi della collettività.

Come associazione antiracket-antimafia da tempo puntiamo a sottolineare questo aspetto che rende la realtà sempre più preoccupante e difficile, da tempo diciamo che l’encomiabile lavoro delle forze dell’ordine e della magistratura non bastano ed è indispensabile il consenso della gente che deve combattere l’omertà, che deve ritrovare la volontà di difendere la propria dignità e della società in cui vive, che si deve lavorare affinché Stato e cittadini camminino insieme.

La strategia dell’inabissamento, con i vari gruppi criminali che «operano in sinergia tra loro» in una sorta di pax mafiosa porta ad un consolidamento sociale e a un’omertà dettata dal disinteresse della società verso un problema che “apparentemente” non la riguarda direttamente e il tutto porta ad una conseguenza catastrofica: all’isolamento psicologico della vittima e alla paura di denunciare e all’isolamento sociale di chi invece denuncia. Il risultato è che nel distretto delle tre province di Lecce, Taranto e Brindisi nell’intero anno giudiziario un solo procedimento è iscritto per usura mafiosa nel registro della Dda di Lecce.

Un’ analisi tra le istituzioni, la politica e la società sarebbe doverosa al fine di porre rimedio e di cambiare rotta. Dati i risultati, evidentemente qualcosa sinora non è andato, da qualche anno rimarchiamo la poca attenzione data al fenomeno Scu. Per troppo tempo si è sentito dire che va tutto bene e poi invece così bene non andava, lo stesso errore è stato fatto con la ‘Ndrangheta, mentre l’attenzione era rivolta a Cosa nostra, ed oggi abbiamo una Scu integrata nel tessuto sociale, che interviene nell’economia e che offre “protezione” ed interventi per recupero crediti.

Non bastano più le riunioni tra addetti ai lavori, non bastano le iniziative fini a se stesse, serve un’inversione di rotta ad iniziare dalla società e dall’antimafia sociale che deve muoversi parallelamente a quella istituzionale, bisogna sdoganarsi e parlare alla gente, informare e far conoscere, raccontare e smuovere le coscienze assopite, è da qui che bisogna partire allo stato attuale in cui si è arrivati.

Innanzitutto pensiamo che si debbano tutelare i pochissimi testimoni di giustizia in Puglia, affinché possano rimanere nel proprio territorio, siano tutelati e possano lavorare e siano da monito in un territorio in cui la denuncia è pari a zero, ma soprattutto vorremmo evitare che come spesso accade in Italia li si ricordi da morti magari in qualche fiction televisiva. Devono essere degli esempi viventi per chi oggi è vittima e non ha il coraggio di denunciare.

Come associazione antiracket-antimafia abbiamo sottoposto all’attenzione del presidente della Provincia di Brindisi Maurizio Bruno la richiesta di attenzione verso i pochissimi testimoni di giustizia, affinché partisse da Brindisi una proposta al presidente Emiliano e anche la Puglia, come la ha già fatto la Sicilia e si appresta a fare la regione Campania, si possa dotare di una legge regionale finalizzata a far rimanere nel proprio territorio i testimoni di giustizia, coloro che denunciano ma che poi non riescono più a riavviare attività lavorative nel proprio territorio e sono quindi costretti nella migliore delle ipotesi ad andare via, quando dovrebbero essere preservati e tutelati innanzitutto come esempio e stimolo alla denuncia. Purtroppo non abbiamo ricevuto risposta, rinnoviamo ora l’invito a porre l’attenzione su questo problema che renderebbe la Puglia in genere e la provincia di Brindisi in particolare attente a un problema annoso della nostra terra.

Si deve inoltre puntare su formazione ed informazione, sdoganandosi dai palazzi e parlando ai cittadini, sensibilizzando e raccontando ad iniziare dalle scuole, per continuare nelle università, nelle associazioni di categoria affinché informino sui mezzi che lo Stato offre per uscire dai drammi del racket e dell’usura. Si deve poi parlare alle piazze del Sociale. La nostra associazione il primo maggio scorso non ha esitato a parlare durante il concertone di Taranto. Solo in questo modo si può mantenere vivo il problema al fine di creare un reale movimento di coscienze in grado di sostenere chi è solo.

Si parli di Scu di più nelle scuole, importanti le esperienze che noi stessi portiamo di altre mafie, ma ci rendiamo sempre più conto anche parlando con i giovani come gli stessi siano più informati sulla ‘Ndrangheta e su Cosa nostra, ma non conoscano nulla della Scu e questa non conoscenza non porta alla creazione di una coscienza sociale nel proprio territorio.

Si tratta di punti forse elementari ma che purtroppo sinora sono stati applicati poco ed in modo poco efficace, pensiamo che siano però la base per poter iniziare a smuovere gli animi e a dare fiducia a chi oggi è vessato, sostenendo i risultati dell’attività investigativa e giudiziaria che rimane fine a se stessa se la coscienza collettiva rimane distaccata dal problema.

Il coordinatore provinciale Associazione antiracket-antimafia

Paride Margheriti

 

 

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