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Operaio morì sul lavoro, maxi risarcimento per i familiari: due milioni di euro

Dopo anni di battaglia legale, nonostante il fallimento delle due imprese edili coinvolte, i familiari sono riusciti ad ottenere piena giustizia, ma la compagnia assicurativa ancora non paga

“Unipolsai risarcisca quanto deve ai familiari della vittima: c’è una sentenza passata in giudicato che condanna al pagamento di 2 milioni di euro”.

Quindici lunghissimi anni

La tragedia costata la vita ad Armando Penta (foto sopra), 52enne operaio di Oria, è giunta finalmente, dopo 15 anni, a una svolta, grazie alla tenacia dei familiari che in tutto questo tempo, udienza dopo udienza, impegnati in ben due processi, uno civile e uno penale, hanno continuato a chiedere incessantemente e a gran voce giustizia.

Al loro fianco gli specialisti di Giesse Risarcimento Danni, il primo gruppo in Italia nel settore del risarcimento danni, grazie al quale sono giunti a ottenere l’importante riconoscimento di ben 2 milioni di euro di risarcimento. La stessa Giesse, però, rende noto l’inaccettabile blocco al pagamento disposto dalla compagnia Unipolsai.

“E’ stato un cammino lungo e faticoso – spiega Giuseppe Vacca, responsabile di Giesse Francavilla Fontana – nel quale sono state coinvolte due aziende: la MCM spa, di cui era dipendente Armando Penta, fallita in corso di causa e la Demolizioni Industriali srl, che aveva appaltato il lavoro, fallita anch’essa ma successivamente alla decisione del tribunale. La Demolizioni Industriali srl aveva in precedenza sottoscritto una polizza con Unipolsai, con un massimale pari a 5 milioni di euro; a seguito della sentenza, passata in giudicato, pronunciata dal Tribunale di Matera, secondo la quale entrambe le aziende sono corresponsabili per quanto accaduto non avendo predisposto adeguate misure di prevenzione e per non aver vigilato, la compagnia assicurativa deve provvedere al pagamento dell’importo stabilito dal giudice essendo, appunto, garante della responsabilità civile di una delle aziende ritenute responsabili”.

Ma Unipolsai non sta pagando, malgrado quanto deciso in sentenza e tutta una serie di altre azioni puntualmente intraprese da Giesse e dai suoi legali fiduciari per arrivare a sbloccare la situazione.

“Di recente la compagnia ha manifestato la disponibilità a pagare – conclude Vacca – ma, inspiegabilmente, vorrebbe pagare una cifra di molto inferiore a quella indicata dal tribunale. Ribadiamo, questa volta pubblicamente, il nostro fermo invito a Unipolsai a pagare subito, senza se e senza ma, quanto deciso dal Tribunale di Matera, senza protrarre ulteriormente questa già dolorosissima vicenda e la sofferenza provata dai familiari di Armando; è molto facile, soprattutto quando si è vicini alla ricorrenza del primo maggio, dimostrare a parole solidarietà verso i familiari di coloro che perdono la vita sul lavoro ma, affinché non siano parole vuote e vane, dovrebbero essere seguite dai fatti: il reale e tempestivo pagamento di quanto disposto dal giudice!”.

Era l’11 dicembre del 2007 quando Armando Penta perse tragicamente la vita mentre smantellava, insieme ad altri operai, l’ex stabilimento chimico Tecnoparco di Pisticci Scalo, chiuso allora già da più di quattro anni. Il compito che gli era stato affidato prevedeva lo smontaggio di tubazioni e macchinari presenti al quarto piano dell’edificio per gettarli poi, mano a mano, attraverso un buco nel pavimento, al piano sottostante per essere ulteriormente movimentati.

Alle 9 del mattino, dopo aver lasciato cadere un pesante pezzo di un macchinario dismesso nell’apertura, qualcosa però andò storto e di colpo si consumò la tragedia: Penta cadde nella buca, precipitò nel vuoto per quasi 7 metri e, per un macabro gioco del destino, rovinò proprio sullo stesso cumulo di pezzi di ferro e acciaio ammucchiato nelle ore precedenti da lui stesso e dai suoi colleghi sul pavimento del piano sottostante.

«L’ho visto con la coda dell’occhio precipitare nel vuoto insieme al pezzo» raccontò poi, ancora sotto choc alle forze dell’ordine un testimone della tragedia, un operaio che lavorava a pochi metri da Penta. Altri colleghi affermarono inoltre che, con tutta probabilità, il 52enne cadde poiché «rimasto impigliato con un guanto al pezzo gettato nel vuoto».

Sta di fatto che in seguito ad accertamenti risultò chiara ed evidente la mancanza delle minime misure di sicurezza: parapetti, imbracature, mezzi meccanici, nulla di tutto ciò venne fornito da nessuna delle ditte coinvolte nei lavori. Già nei primi momenti successivi alla caduta, le condizioni di Penta sono parse disperate e a nulla servì il tempestivo allarme al 118 lanciato dai colleghi, con la corsa all’ospedale di Tinchi e il successivo trasferimento in elicottero all’ospedale San Carlo di Potenza: dopo ore di agonia, Penta morì pochi giorni prima del suo 53esimo compleanno.

A quasi 15 anni da quel tragico giorno, dopo una sentenza penale che ha condannato il direttore generale e il capo cantiere della MCM spa oltre all’amministratore della Demolizioni Industriali srl, dopo una sentenza del tribunale civile di Matera, passata in giudicato, che ha riconosciuto il diritto ad un giusto risarcimento, i familiari attendono che, finalmente, sia fatta giustizia per il dovuto rispetto che si deve alla memoria di Armando Penta.

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