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“Mia mamma quasi 90enne da sola in pronto soccorso: noi fuori, lei dentro. Dov’è finita l’umanità?”

La testimonianza di una docente e nostra lettrice:

Qualche giorno fa mia madre è stata portata di urgenza al pronto soccorso di Francavilla dove è rimasta quasi 24 ore prima di essere ricoverata.  Quello che lei, una nonnina quasi novantenne, e noi figli abbiamo vissuto mi ha spinto a scrivere questa riflessione perché sono sicura di dare voce a tante altre persone che hanno vissuto una esperienza simile.

Ho sempre creduto che la civiltà di un Paese si misurasse dal rispetto e dalla cura verso coloro che sono in difficoltà e hanno bisogno del sostegno e della attenzione degli altri. Sono sempre stata orgogliosa di far parte di questa mia nazione che ho sempre creduto un Paese civile anche perché, essendo una docente, ciò che insegno ai miei alunni è proprio la conquista e la realizzazione di certi valori che sono imprescindibili per il progresso dell’umanità.

E poi, proprio quando non te lo aspetti, arriva qualcosa che mette in discussione tutto ciò che hai creduto e vissuto in tanti anni. Uno dei tanti, tantissimi episodi in cui, sicuramente, moltissimi di noi possono riconoscersi.

Un malore grave improvviso, la chiamata al 118, l’arrivo dell’ambulanza che con la sirena spiegata si porta via la persona a te cara, la corsa in ospedale, la porta a vetri che si chiude e il nulla, il silenzio totale per una, due, tre, ventitré lunghissime ore.

Non è permesso a nessun parente entrare in pronto soccorso per la normativa COVID; non è permesso sostare in sala d’attesa sempre per la stessa normativa; non è permesso attendere fuori sotto la pensilina per ripararsi un po’ dal freddo e dalla pioggia; è concesso stare all’esterno mentre l’angoscia, l’attesa e il gelo ti ghiacciano dentro e fuori. Già perché non sai cosa sta succedendo al di là di quella porta ad una persona di 90 anni, sorda, gravemente malata, non autosufficiente. Si starà sentendo abbandonata? Te lo domandi e cerchi di trovare mille risposte. La rivedrò? La troverò smarrita e disorientata?Peggiora? Nulla!  E il telefono non squilla; nessuno apre quella porta per farti anche un piccolo cenno di rassicurazione, per darti anche una piccola spiegazione. E così arriva la notte e il giorno nuovo…

È vero, si lavora con ritmi logoranti: le richieste sono sempre più numerose e il personale sempre meno. Allora è per i numeri che siamo diventati disumani? È per i ritmi che abbiamo dimenticato che un piccolo gesto di umanità può aiutare più di una medicina? È perché siamo stressati che abbiamo dimenticato che abbiamo a che fare con persone, esseri umani e non numeri? Cosa può esserci di civile nella burocrazia e nelle regole rigide che hanno finito per soffocare la parte migliore di noi, quella dell’aver cura di sé stessi e dell’altro?  Ogni volta che ci nascondiamo dietro la rigidità di una norma, di un ruolo, di una posizione, ricordiamoci che possiamo fare meglio e essere migliori di quello che siamo diventati.  Nessuno si merita di vivere una situazione così.

Concetta Rodia

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