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Operaio subì infortunio con danni permanenti, condannati titolare e preposto aziendale: risarcimento danni anche ai familiari del lavoratore

Dopo sei anni e sette mesi dall’infortunio sul lavoro, arrivano le condanne per titolare e preposto di un’impresa edile con sede tra Oria e Francavilla Fontana: sei mesi di reclusione per il primo, tre mesi per il secondo più condanna a risarcimento del danno e pagamento delle spese. Secondo la giudice Anna Guidone del Tribunale di Brindisi, l’operaio – difeso dagli avvocati Domenico Attanasi e Angelo Prete – subì una menomazione permanente a un arto a causa di negligenza, imprudenza e imperizia non sua ma di chi avrebbe dovuto garantirne la sicurezza.

L’incidente si verificò il 10 ottobre 2017 nella sede dell’impresa edile – specializzata in pavimentazioni – in contrada “Potente”, dove il dipendente 24enne di Oria G.D. (oggi 31enne) era impegnato a stendere manualmente, con una cazzuola, della malta negli stampi di una pressa automatica. Un’operazione che, stando a quanto emerso in fase d’indagini e poi a processo, non era né prevista né possibile. L’operaio, nel compierla, rimase impigliato con l’avambraccio negli ingranaggi del macchinario industriale e, soccorso in ospedale, fu condotto in ospedale a Francavilla Fontana.

Da qui, considerata la serietà delle lesioni, fu trasferito al Policlinico di Bari per essere sottoposto a un delicato intervento microchirurgico per la ricostruzione dei tendini. Infatti, la diagnosi fu: “Trauma complesso dell’avambraccio e mano sinistra con sezione dell’apparato flessore dell’apparato superficiale profondo al III distale di avambraccio, sezione dei nervi mediano ed ulnare; sezione arteria ulnare; sezione tendini estensori dei III, IV e V comuni e propri dell’estensore ulnare del carpo; frattura piramidale, apice stiloide ulnare e pisiforme polso sinistro”. La prognosi fu di 76 giorni con indebolimento permanente dell’organo, tradotto: quell’arto non sarebbe mai più tornato come prima né, con esso, la capacità lavorativa dell’operaio (che fortunatamente non fu mai in pericolo di vita).

Nell’immediatezza dell’infortunio, i carabinieri della Stazione di Oria – al comando del luogotenente Roberto Borrello – effettuarono i rilievi e accertamenti, come da prassi, furono compiuti dal servizio Spesal dell’Asl di Brindisi. Sin da subito emersero presunte irregolarità, tanto che furono indagati e poi tratti a processo tanto il titolare dell’impresa (G.S., oggi 58 anni) quanto il preposto (F.M., oggi 62 anni).



Nella richiesta di rinvio a giudizio, la pm Paola Palumbo contestò al primo tutta una serie di omissioni: nomina del responsabile del servizio prevenzione e protezione; valutazione dei rischi derivanti dall’operatività della pressa automatica; designazione preventiva dei lavoratori incaricati del primo soccorso; designazione dei lavoratori attuatori delle misure di prevenzione incendi e lotta antincendio; fornitura al lavoratore infortunato di idonei dispositivi di protezione individuale; formazione in materia di salute e sicurezza ai dipendenti.

Al preposto, invece, si contestò di non aver impedito al collega 24enne di accedere a una zona esposta a un rischio grave e specifico, consentendo – o non impedendo – al lavoratore di compiere l’operazione di stesura della malta negli stampi della pressa automatica.

Il ferito si costituì parte civile con gli avvocati Attanasi e Prete del Foro di Brindisi. Dell’altro ieri la condanna di titolare e preposto: sei e tre mesi, spese processuali (5mila euro), 20mila euro di provvisionale e ulteriori danni da quantificare in sede civile anche in favore dei genitori e del fratello conviventi dell’operaio che subì macrolesioni.

e danni da quantificare in sede civi

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